E a Manhattan…
Mentre Douglas insegnava a Kansas City, il fermento letterario, culturale, politico e artistico di quello che sarebbe diventato noto come Harlem Renaissance cominciava a prendere piede a Manhattan.
La rivista della National Association for the Advancement of Colored People, The Crisis, allora un mensile diretto da W.E.B. DuBois, era nel suo secondo decennio e aveva sede nel palazzo del New York Evening Post al 20 di Vesey Street. La National Urban League iniziò a pubblicare la rivista mensile Opportunity: A Journal of Negro Life nel 1923, e divenne il periodico emblematico della cultura artistica, musicale e letteraria allora centrata nei quartieri alti di Harlem, un tempo olandese, ebreo e italiano.
Ma non fu fino a quando il numero di marzo 1925 della rivista Survey Graphic arrivò nella cassetta postale di Douglas a Kansas City che il suo futuro – e il suo impatto sulla cultura americana – fu tracciato. Il numero speciale, diretto da Alain Locke, era dedicato a “Harlem: Mecca del nuovo negro”. Con quel fulmine a ciel sereno, Douglas avrebbe deciso di avventurarsi ad Harlem (non è chiaro se si trattasse di una tappa permanente o semplicemente di un punto di passaggio in un progetto di migrazione a Parigi), dove avrebbe fatto una conoscenza che si sarebbe evoluta in una borsa di studio e in una mentorship con l’artista tedesco Winold Reiss, che aveva illustrato il soggetto di copertina, del compositore Roland Hayes, che adornava quel numero di Survey Graphic.
Una volta ad Harlem, Douglas si inserì quasi immediatamente. Nel giro di pochi mesi, contribuì con importanti opere d’arte a The Crisis and Opportunity, compresi i disegni di copertina, e si fece rapidamente un nome come artista preminente con uno stile unico informato dal cubismo, dall’art deco e dagli idiomi africani. Parigi avrebbe aspettato. Si sarebbe presto guadagnato l’incarico di illustrare l’antologia di Alain Locke, “The New Negro” (1926), seguita dal poetico “God’s Trombones, Seven Negro Sermons in Verse” (1927) di James Weldon Johnson.
Con tutti questi contributi di primo ordine alle arti visive dell’Harlem Renaissance, è forse più facile pensare, beh, questo è abbastanza. Ma se Douglas fu davvero l’artista principale del movimento, fu anche uno dei suoi principali filosofi. In una lettera a Langston Hughes datata 21 dicembre 1925, Douglas sostiene la necessità di un robusto abbraccio della cultura autenticamente nera: “Il tuo problema, Langston, il mio problema, no il nostro problema è di concepire, sviluppare, stabilire un’era artistica. Non l’arte bianca dipinta di nero … Mettiamo a nudo le nostre braccia e immergiamole in profondità attraverso il riso, il dolore, la tristezza, la speranza, la delusione, nelle profondità dell’anima della nostra gente e tiriamo fuori materiale grezzo, ruvido, trascurato. Poi cantiamolo, balliamolo, scriviamolo, dipingiamolo. Facciamo l’impossibile. Creiamo qualcosa di trascendentalmente materiale, misticamente oggettivo. Terroso, spiritualmente terroso. Dinamico.”