Ipertensione sistolica isolata: fisiopatologia, conseguenze e benefici terapeutici

Negli ultimi decenni l’importanza di percepire l’ipertensione sistolica isolata (ISH) nella fisiopatologia cardiovascolare è stata modificata da una condizione benigna al principale fattore di rischio cardiovascolare. L’invecchiamento è di per sé associato al deterioramento della compliance arteriosa attraverso cambiamenti sia strutturali che funzionali nelle grandi arterie che coinvolgono principalmente l’intima e la media. I cambiamenti osservati si traducono in una diminuzione del rapporto lume-parete, l’area complessiva della sezione trasversale del lume e un aumento della rigidità arteriosa che coinvolge soprattutto l’aorta e altre arterie elastiche. Oltre ai cambiamenti strutturali nelle pareti dei vasi, l’invecchiamento è associato ad alcuni cambiamenti funzionali come un aumento dell’attività del sistema simpatico probabilmente dovuto alla diminuzione della sensibilità dei beta-recettori legata all’età. Mentre la funzione degli alfa-recettori della parete arteriosa rimane intatta, nei soggetti anziani si può osservare uno spostamento verso la vasocostrizione arteriosa. In molti degli studi pubblicati la definizione di ISH si è basata sul criterio 160/95 mm Hg o 160/90 mm Hg mentre, riconoscendo l’alto rischio associato alla pressione sanguigna sistolica (SBP), le linee guida WHO/ISH e la relazione del sesto comitato nazionale congiunto sull’ipertensione hanno indicato che l’ISH dovrebbe essere diagnosticata con SBP pari a > o =140 mm Hg e la pressione diastolica (DBP) pari a <90 mm Hg. Quindi la fissazione di valori normali di SBP porterà a una diagnosi e a un trattamento più precoce dell’ISH. Diversi studi prospettici, come l’Hypertension Detection and Follow-up Programme degli Stati Uniti, lo hanno confermato e il Multiple Risk Factor Intervention Trial ha dimostrato che per ogni dato livello di DBP, una SBP più alta è associata a un aumento del rischio cardiovascolare. Inoltre, i dati del Framingham Study mostrano che l’ISH era associato non solo a un aumento della mortalità ma anche della morbilità cardiovascolare. Il rischio di ictus non fatale e di infarto del miocardio era aumentato rispettivamente di tre e due volte in presenza di ISH. Sono stati pubblicati tre grandi studi aggiornati che includevano pazienti con ISH. In accordo con gli studi SHEP e MCR pubblicati in precedenza, il più recente, il Systolic Hypertension in the Elderly Trial (SYST-EUR), ha dimostrato che il trattamento attivo riduce significativamente il rischio di ictus e tutti gli end-point cardiaci fatali e non fatali, compresa la morte improvvisa. Da notare che questi benefici sono stati dimostrati con nuove classi anti-ipertensive come il calcioantagonista diidropiridinico (nitrendipina) e l’inibitore dell’enzima di conversione dell’angiotensina (enalapril). La necessità di bilanciare attentamente i benefici e i rischi della terapia anti-ipertensiva negli anziani indica che i pazienti con sospetta ISH dovrebbero essere sottoposti a un’attenta misurazione della BP in almeno tre diverse occasioni prima di stabilire la diagnosi e valutare una reazione ortostatica. Se le procedure non farmacologiche falliscono, la terapia farmacologica dovrebbe essere presa in considerazione, soprattutto nei pazienti anziani con una pressione arteriosa superiore a 160 mm Hg, poiché il loro rischio di complicazioni è notevolmente più alto. Il trattamento farmacologico dovrebbe anche essere fortemente considerato nei pazienti con una SBP tra 140 e 160 mm Hg con fattori di rischio cardiovascolare concomitanti come il diabete, l’angina pectoris e l’ipertrofia ventricolare sinistra. Il regime farmacologico dovrebbe essere semplice, iniziando con una bassa dose di un singolo farmaco che viene titolato lentamente. La selezione dell’agente antipertensivo di prima linea dovrebbe essere basata su un’attenta valutazione dei parametri fisiopatologici e clinici in ogni singolo paziente geriatrico.

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