Nel 1964, durante una conferenza alla Cornell University, il fisico Richard Feynman articolò un profondo mistero sul mondo fisico. Disse ai suoi ascoltatori di immaginare due oggetti, ognuno attratto gravitazionalmente dall’altro. Come, chiese, dovremmo prevedere i loro movimenti? Feynman identificò tre approcci, ognuno dei quali invocava una diversa credenza sul mondo. Il primo approccio utilizzava la legge di gravità di Newton, secondo la quale gli oggetti esercitano un’attrazione l’uno sull’altro. Il secondo immaginava un campo gravitazionale che si estende nello spazio e che gli oggetti distorcono. Il terzo applicò il principio della minima azione, che sostiene che ogni oggetto si muove seguendo il percorso che richiede meno energia nel minor tempo. Tutti e tre gli approcci producevano la stessa previsione corretta. Erano tre descrizioni ugualmente utili del funzionamento della gravità.
“Una delle caratteristiche sorprendenti della natura è questa varietà di schemi interpretativi”, disse Feynman. Per di più, questa multiformità si applica solo alle vere leggi della natura – non funziona se le leggi sono state indicate in modo errato. “Se si modificano molto le leggi, si scopre che si possono scrivere solo in meno modi”, ha detto Feynman. “L’ho sempre trovato misterioso, e non so il motivo per cui le leggi fisiche corrette sono esprimibili in una così grande varietà di modi. Anche mentre i fisici lavorano per capire il contenuto materiale dell’universo – le proprietà delle particelle, la natura del big bang, le origini della materia e dell’energia oscura – il loro lavoro è oscurato da questo effetto Rashomon, che solleva domande metafisiche sul significato della fisica e sulla natura della realtà. Nima Arkani-Hamed, fisico dell’Institute for Advanced Study, è uno dei principali teorici di oggi. “La miracolosa proprietà delle leggi di cambiare forma è la cosa più sorprendente che conosco di loro”, mi ha detto lo scorso autunno. Deve essere un enorme indizio sulla natura della verità ultima.”
Tradizionalmente, i fisici sono stati riduzionisti. Hanno cercato una “teoria del tutto” che descrive la realtà in termini dei suoi componenti più fondamentali. In questo modo di pensare, le leggi della fisica conosciute sono provvisorie, approssimano una descrizione più dettagliata non ancora conosciuta. Un tavolo è in realtà un insieme di atomi; gli atomi, ad un esame più attento, si rivelano essere ammassi di protoni e neutroni; ognuno di questi è, più microscopicamente, un trio di quark; e i quark, a loro volta, si presume siano costituiti da qualcosa di ancora più fondamentale. I riduzionisti pensano di stare giocando una partita al telefono: man mano che il messaggio della realtà viaggia verso l’alto, dalla scala microscopica a quella macroscopica, diventa confuso, ed essi devono lavorare verso il basso per recuperare la verità. I fisici ora sanno che la gravità distrugge questo schema ingenuo, modellando l’universo su scale grandi e piccole. E l’effetto Rashomon suggerisce anche che la realtà non è strutturata in modo così riduttivo, dal basso verso l’alto.
Se mai, l’esempio di Feynman ha sottovalutato il mistero dell’effetto Rashomon, che in realtà è duplice. È strano che, come dice Feynman, ci siano più modi validi di descrivere tanti fenomeni fisici. Ma un fatto ancora più strano è che, quando ci sono descrizioni in competizione, una spesso risulta essere più vera delle altre, perché si estende a una descrizione più profonda o più generale della realtà. Dei tre modi di descrivere il moto degli oggetti, per esempio, l’approccio che risulta essere più vero è quello sfavorito: il principio di minima azione. Nella realtà quotidiana, è strano immaginare che gli oggetti si muovano “scegliendo” il percorso più facile. (Come fa un sasso che cade a sapere quale traiettoria prendere prima di partire?) Ma, un secolo fa, quando i fisici cominciarono a fare osservazioni sperimentali sullo strano comportamento delle particelle elementari, solo l’interpretazione del minimo d’azione del movimento si dimostrò concettualmente compatibile. È stato necessario sviluppare un nuovo linguaggio matematico – la meccanica quantistica – per descrivere la capacità probabilistica delle particelle di giocare tutte le possibilità e prendere il percorso più semplice il più delle volte. Delle varie leggi classiche del moto – tutte praticabili, tutte utili – solo il principio della minima azione si estende anche al mondo quantistico.
Succede sempre che, quando ci sono molte possibili descrizioni di una situazione fisica – tutte che fanno previsioni equivalenti, ma tutte selvaggiamente diverse nelle premesse – una si rivelerà preferibile, perché si estende a una realtà sottostante, sembrando rappresentare più universo in una volta. E tuttavia questa nuova descrizione potrebbe, a sua volta, avere formulazioni multiple, e una di queste alternative potrebbe applicarsi ancora più ampiamente. È come se i fisici stessero giocando a un gioco telefonico modificato in cui, a ogni sussurro, il messaggio viene tradotto in una lingua diversa. Le lingue descrivono diverse scale o domini della stessa realtà, ma non sono sempre collegate etimologicamente. In questo gioco modificato, l’obiettivo non è – o non è solo – cercare un’equazione di base che regoli i bit più piccoli della realtà. L’esistenza di questa rete ramificata e interconnessa di linguaggi matematici, ciascuno con la propria immagine associata del mondo, è ciò che deve essere compreso.